Mi hanno portato una conchiglia.
Dentro canta
un mare di mappamondo.
Il mio cuore
si riempie d’acqua
con pesciolini
d’ombra e d’argento.
Mi hanno portato una conchiglia.
Federico Garcia Lorca, Conchiglia
Capita a volte, quasi sempre, che nei momenti di maggiore difficoltà e disorientamento, coltiviamo l’illusione rassicurante che definire un sintomo e assegliargli un posto ed un ordine in una qualunque classificazione, segni il passaggio alla cura e alla risoluzione di una condizione afflittiva.
Ma i sintomi, e il patire di cui sono espressione, sono, per loro natura e cultura, recalcitranti e difficilmente si lasciano trattenere nell’ordine che abbiamo assegnato loro. Questo è particolarmente vero nella pratica clinica e nel lavoro di psicoterapia in cui il processo di cura si esplica attraverso la comune ricerca che clinico e paziente decidono di intraprendere. La comprensione di un sintomo non è possibile se non nell’alleanza conoscitiva fra la soggettività del clinico e quella del paziente. I sintomi, d’altra parte, sono sempre tali soltanto in relazione ad un Altro, essi hanno una costituzione intersoggettiva e il loro significato si mostra dentro l’esperienza irriducibile dell’incontro e della relazione. In psicopatologia, la scienza umana dell’umano, il sintomo ha senso dentro le vicende esistenziali, e l’esistenza è sempre una coesistenza.
In questa cornice di pensiero, il sintomo è esito e deposito delle storie e delle esperienze vissute, e si manifesta con tanta più forza quanto più, per contingenza o scelta, ci si predispone ad un cambiamento ed ad un progetto di sé.
La diagnosi è una disposizione all’incontro ed una azione del comprendere l’altro nella sua singolare ed unica esperienza del passaggio, del transito, dell’attraversamento di un presente che si incrina e sgretola, in cui il rischio di esserci si embrica con il rischio di perdersi. (cfr. E. De Martino, 1977; Callieri, B.,1984)
Ci confrontiamo con una narrazione dell’esperienza di sè che spesso si presenta confusa o evanescente, accompagnata da singolari partiture emozionali e coloriture affettive. La diagnosi si configura come un processo di costruzione relazionale regolato da una logica della connessione, della disarticolazione e del ricercare. Quest’ultimo riferimento alla musica ben ci aiuta a comprendere come il processo della diagnosi non sia dato e definito una volta e per tutte, ma si compie e si definisce nel suo farsi dialogo di costruzione e di scoperta dell’esperienza umana vissuta, proprio come la forma musicale del ‘ricercare’, affermatasi agli inizi del 16° sec. e destinata a un solo strumento, scritta al fine di ‘ricercare’ e sperimentare le possibilità e le sonorità dello strumento stesso.
Pensare la diagnosi come l’atto del conoscere attraverso significa, soprattutto, operare connessioni tra eventi visibili e invisibili, reali o simbolici. La narrazione di questi eventi costruiscono la trama delle relazioni attraverso la quale è possibile connettere altri eventi. Il paziente che si rappresenta nella relazione clinica è sì un corpo definito che porta una sofferenza, ma nello stesso tempo l’organizzatore semantico di tale sofferenza ha origine e dislocazione ben al di là di questo corpo, per cui parlare della propria sofferenza è parlare dei legami relazionali, reali e simbolici che la attivano e l’hanno determinata (Profita, Ruvolo, Lo Mauro, 2007).
Ogni storia contiene l’irreversibilità, l’evento e la possibilità per certi eventi, in certe circostanze, di acquisire un significato, di essere al punto di partenza di nuove conoscenze. Comprendere una storia non è ridurla né a regolarità sottostanti, né ad un caos di eventi arbitrari, è comprendere nello stesso tempo coerenze ed eventi, votarli all’insignificanza, o, al contrario, essere distrutte o trasformate da alcuni di essi; gli eventi in quanto possono o meno fare emergere nuove possibilità di storie. (cfr. Stengers, I., Prigogine, I., 1994)
*Immagine di copertina: Max Ernst – Fiori di conchiglie, 1929
Riferimenti bibliografici
Callieri, B. (1984), La fenomenolgia antropologica dell’incontro: il noi tra l’homo natura e l’homo cultura, in Cazzullo, C.L., Sini C., (a cura di), Fenomenologia: filosofia e psichiatria, Masson, Milano
De Martino, E. (1977), La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali; Einaudi, Torino
Profita, G., Ruvolo, G., Lo Mauro, V. (2007), Transiti psichici e culturali. Una prospettiva culturalista sulle dinamiche psicologiche dei gruppi mediani e allargati. Edizioni Libreria Cortina, Milano
Stengers, I., Prigogine, I., (1981) Vincolo/possibilità, in Enciclopedia Einaudi, vol. 4, Einaudi, Torino